Contratti di locazione ad uso abitativo non registrati nei termine di legge

La Corte Costituzionale con la sentenza 14.03.2014 n. 50 ha esaminato un caso relativo ai contratti di locazione ad uso abitativo non registrati nei termine di legge.

I giudici dei Tribunali di Palermo, Salerno, Firenze, Genova e Roma avevano sollevato questione di legittimità costituzionale in merito alla previsione di cui all'art. 3, commi 8 e 9 del D.Lgs. 23/2011, che prevedevano significative modificazioni legali alla disciplina stabilita dalle parti nel contratto di locazione (ad uso abitativo), qualora essi non fossero stati registrati entro il termine stabilito dalla legge; in tali ipotesi, a decorrere dalla data di registrazione, la durata diventava automaticaticamente di quattro anni e il canone annuo solamente il triplo della rendita catastale.

I Tribunali rimettenti si erano trovati a giudicare in ordine a controversie in cui il conduttore moroso, chiamato dal proprietario a corrispondere il canone di locazione, aveva eccepito di dover pagare il canone solamente nella misura ridotta prevista dalla legge, non essendo il contratto registrato.

La Corte ha ritenuto sussistere in tale materia un difetto di delega legislativa, con violazione dell'art. 76 Cost., ossia la carenza di adeguata “copertura legislativa” in ordine alle previsioni inserite mediante decreto legislativo da parte del governo, in quanto la legge di delega n. 42 del 2009 non avrebbe introdotto princípi alla stregua dei quali consentire l’introduzione delle disposizioni oggetto di censura, ma avrebbe previsto, all’art. 2, comma 2, lettera c), che il legislatore delegato si attenesse ai princípi sanciti dallo statuto dei diritti del contribuente, di cui alla Legge n. 212/2000.

Secondo il Supremo Collegio “alla luce dei richiamati rilievi, emerge con evidenza che la disciplina oggetto di censura – sotto numerosi profili “rivoluzionaria” sul piano del sistema civilistico vigente – si presenti del tutto priva di “copertura” da parte della legge di delegazione: in riferimento sia al relativo ambito oggettivo, sia alla sua riconducibilità agli stessi obiettivi perseguiti dalla delega”. E questo in quanto la legge delega aveva inteso introdurre, testualmente, «disposizioni volte a stabilire in via esclusiva i principi fondamentali del coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario, a disciplinare l’istituzione ed il funzionamento del fondo perequativo per i territori con minore capacità fiscale per abitante nonché l’utilizzazione delle risorse aggiuntive e l’effettuazione degli interventi speciali di cui all’articolo 119, quinto comma, della Costituzione perseguendo lo sviluppo delle aree sottoutilizzate nella prospettiva del superamento del dualismo economico del Paese». Accanto a ciò, ricorda la Corte, l’obiettivo dichiarato era quello di disciplinare «i principi generali per l’attribuzione di un proprio patrimonio a comuni, province, città metropolitane e regioni», dettando «norme transitorie sull’ordinamento, anche finanziario, di Roma capitale».

Su queste considerazioni, la Corte costituzionale ha dunque espunto dall'ordinamento le disposizioni di cui all'art. 3, commi 8 e 9 del D.Lgs. 23/2011.

PER IL TESTO INTEGRALE:  CC sentenza 14.03.2014 n. 50

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